
La Sicilia è una terra ricca di storia e il suo retaggio culturale è immenso. Molte sono state le popolazioni che hanno regnato sull’Isola: normanni, arabi, svevi, angioini e aragonesi.
Tutti passaggi importanti, che hanno lasciato un segno indelebile nella storia e nella cultura siciliana, come nella cucina e nel dialetto.
La dominazione araba è stata incisiva e determinante per la storia dell’Isola. Tutto ha inizio nell’anno 827 d.C., quando gli Arabi sbarcarono nei pressi di Campobello di Mazara, anche se in precedenza c’erano state numerose incursioni sull’Isola. Ecco allora un breve excursus sulla storia della dominazione araba in Sicilia e sulla sua eredità!

La storia della dominazione araba in Sicilia
Prima dell’827 d.C., gli Arabi avevano tentato numerose volte di imporre il proprio dominio sull’Isola. La storia dell’emirato arabo in Sicilia può essere divisa in diverse fasi:
- Dall’827 al 910: l’isola era dominata da un emiro-governatore nominato dall’emiro aghlabide di Qayrawan. Durante questo periodo, la Sicilia era ancora molto autonoma e l’influenza dell’Emiro era piuttosto blanda.
- Dal 910 al 948 abbiamo la seconda fase, durante la quale i governanti erano fatimidi. L’autonomia di cui godeva la Sicilia fu notevolmente ridimensionata.
- Dal 948 al 1072 si ebbe l’epoca dei Kalbiti. Si trattava di una dinastia sciita-ismailita, fondata dall’imam fatimide. La Sicilia divenne in tutto e per tutto un vero e proprio emirato indipendente, con una monarchia islamica ereditaria.
- Fino al 1091, la Sicilia fu divisa in tanti Emirati diversi. Il dominio arabo sull’Isola ormai era in decadenza. Nel 1091, re Ruggero I di Sicilia conquistò l’ultima roccaforte islamica di Noto e unificò l’intera isola sotto la Contea di Sicilia, che era stata istituita nel 1061.
In tutti questi anni, gli Arabi hanno introdotto novità consistenti nella cultura e nell’architettura, come anche nella cucina e nel dialetto stesso dell’Isola.
Influenza araba nella cultura e nell’architettura della Sicilia
Sulla dominazione araba c’è da aggiungere che gli islamici furono molto tolleranti. Nonostante l’Isola fosse di fatto un Emirato, in Sicilia continuarono a coesistere anche cristiani ed ebrei. A chi praticasse una religione diversa rispetto a quella prescritta dal Corano, veniva imposta solo una tassa da pagare.
Durante gli anni del dominio arabo, la Sicilia divenne il centro nevralgico del commercio nel Mediterraneo, favorendo così la crescita non solo economica ma anche culturale e di prestigio dell’intera Isola.
La città più importante della Sicilia araba fu sicuramente Palermo, che in quegli anni conobbe una grandissima espansione e divenne una delle metropoli più importanti del mondo occidentale.
Le testimonianze architettoniche arabe “pure” sono difficili da trovare: molti edifici, infatti, vennero riadattati e ristrutturati nelle epoche successive, come in quella normanna. Per questo motivo, ad oggi, non abbiamo traccia di alcuna moschea risalente al periodo arabo della Sicilia. Giusto per fare un esempio, basti pensare al Palazzo dei Normanni di Palermo, sede attuale della Regione Sicilia: in precedenza, questo edificio faceva parte di un complesso architettonico molto articolato risalente all’epoca araba. Proprio a Palermo, le tracce della dominazione araba sono decisamente più consistenti: lo stesso mercato di Ballarò, con tutti i suoi odori e il vociare dei commercianti, ricorda da vicino proprio un suq arabeggiante.

La cultura araba nel dialetto siciliano
Testimonianze del passaggio arabo in Sicilia permangono ancora oggi nel dialetto parlato sull’Isola. Sono molte le parole che infatti provengono dall’arabo, soprattutto quelle legate al mondo dell’agricoltura, della pesca, del commercio e dell’artigianato. Non mancano vocaboli “arabeggianti” anche per il mondo della cucina. Non abbiamo invece grandi riscontri per tutti i termini che riguardano l’ambito legislativo o quello affettivo e religioso. Di chiara origine araba sono per esempio le parole zafferano, cassata, zibbibbu, l’uva bianca da tavola e da vino. Anche la parola giarra o giara, il recipiente di terracotta usato soprattutto per la conservazione dell’olio, viene dall’arabo. La Giara è anche il titolo di una nota novella di Luigi Pirandello, contenuta nella raccolta Novelle per un anno e portata in scena come commedia teatrale nel 1917. Protagonista della novella è Don Lollò Zirafa che, in previsione della raccolta delle olive, compra una giara nuova. Nella notte, però, il recipiente si rompe e Don Lollò si rivolge allora all’artigiano Zi’ Dima, chiedendogli di mettere dei punti alla giara per ripararla. Zi’ Dima è così costretto ad entrare nella giara per fare dei buchi e mettere dei punti ma rimane intrappolato al suo interno. Così, per uscirne, l’artigiano deve rompere la giara, scatenando allora la rabbia furibonda di Don Lollò.
L’influenza araba nella cucina siciliana
Non solo architettura, lingua e cultura: anche nella cucina siciliana è possibile trovare tracce della dominazione araba sull’Isola. Tanti piatti e ricette oggi considerate patrimonio culinario siciliano sono, infatti, di origine araba. Basti pensare alla regina delle pasticcerie dell’Isola: la cassata, il cui nome deriva molto probabilmente dall’arabo quas’at, bacinella, ovvero il recipiente dove viene preparato questo dolce tradizionale, goloso e colorato.
Gli Arabi introdussero anche mandorle e pistacchi, usati oggi in moltissime ricette della tradizione isolana, dai primi piatti ai dolci. Ma pure il sesamo, la cannella, il riso, lo zafferano, l’anice e il cous cous. Tutti ingredienti molto impiegati nella cucina tradizionale siciliana.

Anche gli arancini e le arancine, lo street food più conosciuto e amato della Sicilia, sembrano essere nati durante l’epoca della dominazione araba. Molti autori, infatti, fanno risalire la nascita di questa pietanza iconica da un piatto di origine saracena. Durante i banchetti esisteva la consuetudine di porre al centro della tavola imbandita un vassoio di riso allo zafferano, condito con verdure e carne. Sembra essere questa la prima versione dei famosi arancini e delle celebri arancine che conosciamo anche noi. Nelle primissime versioni, ovviamente, mancava il pomodoro, che sarebbe stato introdotto in Europa solo dopo la scoperta delle Americhe. Anche la panatura è arrivata successivamente, durante la corte di Federico II: la frittura serviva a far conservare il riso e il suo condimento durante le battute di caccia.
Infine, anche la famosa caponata siciliana deriva, con qualche piccola variazione, da un famoso piatto magrebino, chiamato Katayef. Si tratta, nella versione araba, di una ricetta a base di peperoni e melanzane, conditi con olio di sesamo e spezie.
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